Per­ché i clin­i­ci del­la voce artis­ti­ca sono essenziali?

Se basta prevenire e testimoniare/insegnare la preven­zione, il fisioterapista, il logopedista e il medico della voce perché sarebbero, allo­ra, essenziali? La risposta più credibile (anche perché confermata dalla Positron Emission Tomography) è, a mio avviso, quella fornita da Kate Verdolini1: in caso di problemi, il trattamento diretto della voce (se in modalità “su misura”, “custom made therapy”) appare oggettivamente superiore rispetto alla sola igiene/profilassi (auto-)somministrata. Essa, infatti, riesce a cambiare le conoscenze ma non il com­portamento. È la (ri)abilitazione vocale che, invece, può cambiare l’organizzazione cerebrale, giorno dopo giorno e, forse di più, notte dopo notte.

Il cervello lavora soprattutto di notte, almeno per resettare i circuiti e i procedimenti er­rati o rimasti inconclusi durante il giorno. Nel sonno notturno gli engrammi cerebrali si ri-costruiscono momento per momento, alla luce delle informazioni che provengono dalla pe­riferia. Ecco un motivo per cui, per esempio, dentisti funzionalisti e insegnanti di lingue sfruttano nei loro assistiti/allievi tale periodo per provare a riorganizzare il sistema ed even­tualmente a (de)potenziarlo.

Similmente, sono le lezioni di mélos2 e di strumento a poter cambiare a livello centrale i falsi circuiti che portano, spesso, per esempio le strutture epifaringo-la­ringee e le addomino-pelviche a lavorare male.

L’arte con cui si nasce va cioè “canalizzata” e “organizzata” senza mai, tuttavia, tentare di privarla della sua “facilità” e “naturalezza”.

 

1 È uno dei principî (qui da noi modif.) del Lee Silverman Voice Treatment method (LSVT). Cfr. Mario Liotti et Al., 2003

2 In Greco antico, mélos significa ‘canto’.

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Da: Alfonso Gianluca Gucciardo, Curare l’Arte, il Corpo e la Voce, Qanat, Palermo 2017, 86–87 (in stampa)

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