SU LA FONOCHIRURGIA (EST)ETICA (1)
Non è infrequente, nella pratica clinica ordinaria, che al Medico dell’Arte dello Spettacolo o al “semplice” foniatra/otorino vengano fatte richieste di chirurgia fono-estetica, generalmente esplicite, da parte di cantanti, attori e, più genericamente, professionisti della voce “atletica”. Viene, in altri termini, sempre più, chiesto, pur in assenza di patologie necessitanti trattamento chirurgico, una fonochirurgia che serva a “migliorare” o “peggiorare” (soprattutto nel genere rock) la resa vocale in base alle esigenze dell’utente2 e soprattutto del mercato.
Caratteristica più evidente è, in tali casi, la contrattazione previa dei risultati, cosa permessa, in effetti, proprio soltanto in questo àmbito, essendo, com’è noto, almeno in Italia proibita negli altri àmbiti medici.
Il tipo più ricorrente di richiesta è, almeno per ora, il seguente: variare il pitch, raramente il timbro. Circa il primo dei desiderata, è noto che le tecniche chirurgiche sono assolutamente in grado di dare il meglio con molto delicate manovre chirurgiche da effettuarsi alcune in microlaringosospensione o in fonochirurgia fibroendoscopica (da me nel 2005 battezzata FEPS), altre con chirurgia classica. Ricci Maccarini e Casolino del giustamente celeberrimo Voice Center di Cesena le hanno didatticamente riassunte e standardizzate così: per l’abbassamento del pitch: iniezione di grasso autologo nelle corde vocali (per aumentarne la massa) ovvero tiroplastica di III tipo sec. Isshiki (per detenderle); per l’innalzamento, glottoplastica sec. Wendler (la stessa che si usa per le conversioni androginoidi: si accorcia la parte cordale vibrante) ovvero approssimazione cricotiroidea (si aumenta la tensione delle corde)3. I risultati sono soddisfacenti, sempre che alla base di tutto sia riconosciuta dignità e sia dato spazio imprescindibile a una corretta e ultrafine diagnosi foniatrica e che si abbia la certezza che il performer possa, sia prima che dopo la chirurgia, avere il supporto di una squadra foniatrico-logopedica effettivamente specializzata.
Ciò premesso, tante insidie possono talvolta stare dietro a queste richieste operative. Esse impongono al chirurgo tanta ponderazione. In primis, bisogna, però, che egli valuti l’impatto etico di ogni nascente alleanza; che si faccia, cioè, una chiara idea di liceità di ogni domanda perché non tutto ciò che viene chiesto in quanto possibile è eticamente fattibile (si sarà riconosciuto in questo il primo principio della Bioetica).