Man­tenere il suc­ces­so? Tra Silen­zio e Voce (forse) si può?

Il silen­zio – soprat­tut­to nel mon­do del teatro del cor­po e del­la voce e in quel­lo del­la dan­za e del cir­co – è cas­sa di riso­nan­za per i sen­ti­men­ti: li ampli­fi­ca – siano essi neg­a­tivi o pos­i­tivi – e li fa più “vis­i­bili” a noi rispet­to a quan­do siamo dis­trat­ti dal vor­tice di azioni o parole. La lon­tanan­za dai cari, la depres­sione, l’an­sia1, la dif­fi­coltà a reperire le risorse2, le fobie si fan­no più pre­sen­ti quan­do esso ci ripor­ta al pun­to di con­tat­to con il verum emo­ti­vo e fisi­co del­la nos­tra vita personale.

È dif­fi­cile man­tenere alto e duraturo il suc­ces­so; forse è questo uno dei dram­mi con cui ci si dovrebbe abit­u­are a scon­trar­si preparan­dosi da subito, dal­l’inizio del­la car­ri­era quan­do, mag­a­ri, non si pen­sa e non si com­prende che niente può durare per sem­pre o almeno ininter­rottamente, nel­lo stes­so modo e con i medes­i­mi stili. Bisogna impara­re a vin­cere ma anche a perdere; spe­cial­mente, urge re-impara­re l’arte del cam­bi­a­men­to, del­la non sta­tic­ità, l’inge­gnosità del­l’evoluzione, rius­cen­do, poi, a trasferir­la nel pro­prio vis­su­to (anche vocale) gior­naliero e artis­ti­co. Soltan­to gra­zie a questo fisi­o­logi­co ad-atta­men­to si potrà super­are l’insi­dia del­lo scon­for­to e del­l’in-azione. L’artista e/o il per­son­ag­gio che per mille motivi sia di­ventato cel­e­bra­to conoscono bene quan­ta sof­feren­za si celi dietro non tan­to all’ab­ban­dono quan­to già alla sem­plice dimin­uzione delle chia­mate, delle richi­este, del­la vis­i­bil­ità, delle ven­dite. Si rischia di vivere come un lut­to che, se inte­ri­or­iz­za­to sen­za fil­tri e sen­za vie di escape, può far male. Serve avere valv­ole di sfo­go salu­tari, fun­zio­nan­ti e mai illu­sorie3.

Quan­do si sente, in un atto intu­iti­vo e con­cre­to, quan­to si è deboli, diatesi­ci e soli nonos­tante le apparen­ze che la vita impe­riosa­mente pro­pone, nel silen­zio, si è posti dinanzi alla pau­ra, all’in­certez­za, al sen­so di fal­li­men­to che la voce, spes­so sub­dola­mente, testimonia.

A par­tire dal­la con­statazione di ques­ta dimen­sione, occorre che il Logo­pe­dista, il Fisioter­apista e/o il Medico del­la Voce (o del­lo Spet­ta­co­lo) lavorino su/con il cliente per ridi­men­sion­are il con­cet­to stes­so di perdi­ta, di errore, di inadeguatezza.


1 L’an­sia non sem­pre è in-nocua; spes­so, gio­ca brut­ti scherzi, per esem­pio facen­do dimen­ti­care par­ti dei testi da recitare/cantare, cosa imbaraz­zante e dram­mat­i­ca se si pen­sa che non sem­pre è pre­sente in buca il suggeritore.

2 A ciò va aggiun­to il fat­to che in Italia l’artista (soprat­tut­to il can­tante ma anche il per­former di musi­cal) viene, spes­so, paga­to da Teatri e Fon­dazioni anche dopo in media tre-quat­tro anni e sen­za inter­es­si. Questo crea insi­curezza e impos­si­bil­ità a sfruttare nel­l’im­ma­nen­za risorse eco­nomiche posse­dute soltan­to teoricamente.

3 In un prece­dente sag­gio, al cui capi­to­lo “Voce e ses­su­al­ità. Neces­sità e van­tag­gî del riposo” si riman­da, ne ho indi­vid­u­ate molte tra le pos­si­bili. Cfr. Alfon­so Gian­lu­ca Guc­cia­r­do, Voce e Ses­su­al­ità, Omega, Tori­no 2007b


Estrat­to da: Alfon­so Gian­lu­ca Guc­cia­r­do, Silen­zio e Voce, Qanat, Paler­mo 2016, 21–22 (modif.)