Trattare la voce e i bambini. È tutto facile?
—
Il clinico non può pensare che usando vezzeggiativi improvvisati e un sorriso in più il bambino (anche artista) collaborerà senz’altro in un processo (ri)abilitativo più o meno lungo. Inoltre, non si può mai avere certezza che il piccolo tollererà che il percorso duri effettivamente più di quanto abbia “deciso” debba durare. Il rischio di fallimento emotivo/terapeutico in fonopedìa pediatrica non è più alto che con gli adulti ma ha caratteristiche specifiche anche perché a essere coinvolti (e posti sotto pressione) sono i clinici, i bambini stessi e le famiglie e, a volte, pure gli insegnanti (di scuola e di eventuale arte performativa). Un bambino non-responding al trattamento è un “insulto” alle capacità operative di un professionista anche affermato.
Forse è anche per questo che, in Italia, i clinici che si ritengono “bravi e famosi” spesso rifiutano a priori di trattare bimbi per patologie di voce differenti da “semplici” nodulopatie cordali e li dirottano a giovani colleghi o ad alunne appena laureate quasi che i bambini dovessero essere trattati soltanto da giovani/tirocinanti/donne e che fossero esclusivo oggetto (e mai soggetto) di training/tirocinio.
Estratto da: Alfonso Gianluca Gucciardo, Trattare Voci e Persone, Qanat, Palermo 2019, 36 (modif.). ISBN: 9788831903196