voce e blocco del respiro
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Voce e silenzio sono taumaturgia per il sé e per l’altro. Attraverso la voce, attraverso il (micro)movimento delle corde vocali, si può guarire. Non si tratta di ripetere mantra (pure utili in diversi contesti auto- e alloterapici) ma di eucronizzare i ritmi della respirazione rispetto a quelli della fonazione e viceversa, evitando di sentire blocchi in- o espiratorî e dando fluidità, dýnamis, al gesto vocale e vocopojetico. Sentire la propria voce sana ajuta a tenerla tale sempre più; il feedback audio-fonatorio non basta, serve il propriocettivo: almeno, il posturo‑, l’osteo‑, il viscero‑, il muscolo- e il genital-fonatorio. voce e blocco del respiro
Il feedback audio-fonatorio (e quindi ‑corticale) si regola non soltanto in funzione, appunto, del “ritorno a sé stessi” della propria voce ma anche in virtù dello spazio con cui essa, se emessa, finisce (dovrebbe finire) per impattare.
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Noi, quindi, cresciamo certamente in funzione di come sentiamo la nostra voce – che ci forma continuamente e quasi sempre senza il nostro contributo volontario – ma anche in virtù di come sentiamo – in senso non fisico-acustico – il nostro sé nello spazio e di come nello sviluppo lo abbiamo più frequentemente “sentito”.
Rieducare una voce dimenticandosi di quanto essa dipenda dall’equilibrio dell’intero organismo significa non pensarla come puro soffio elastico, duttile, malleabile, aereo, etereo, spirituale ma come qualcosa di rigido, anossico, fermo, non vitale. Scoprire la propria “bella voce”, esperire la “voce bella” (concetto di assoluta soggettività essendo – per buona sorte – ciascuno differente dall’altro), sana le ferite della voce stessa, la coccola, la cura e contestualmente recupera colui che la produce, se è vero che la voce ha potere auto-eccitante, auto-lenitivo, auto-curativo, soprattutto contro l’ansia (per esempio da prestazione) e/o la noja che è àdito alla depressione e al blocco del respiro.
«Talvolta, incontriamo soggetti in apnea e paralizzati perché hanno esaurito tutta l’aria disponibile e smarrito la propria direzione. Sommozzatori affascinati dalle profondità e dalle complicazioni di fondali impervî, spesso dimenticano di risalire in superficie a respirare. Fondali: metafore di relazioni unicamente complicate o di cicliche perdite del senso di sé e dei proprî bisogni. I nostri incontri diventano processi lenti di accompagnamento in superficie per riprendere a respirare. Insieme»1.
Estratto da: Alfonso Gianluca Gucciardo, Silenzio e Voce, Qanat, Palermo 2017, 78–79 (modif.)
1La frase (qui da me modificata) è di un medico psicoterapeuta della Gestalt ma riassume davvero – involontariamente e, nel frattempo, incisivamente – il senso del lavoro del “vocologo” e del “clinico degli artisti”. Cfr. Michele Cannavò, 2016